Consentimi, innanzitutto, di ringraziarti per l’opportunità che mi dai di parlare di me, come autore, e del mio Humanitas, pubblicato con i tipi della Bertoni Editore: un romanzo giallo che, come i precedenti quattro, ha come protagonista il commissario Anselmi, un personaggio sui generis, il più lontano possibile dall’archetipo dell’investigatore a cui ci ha abituati la letteratura di genere. Detto questo, rispondo subito alla tua domanda.
Non so, francamente, se la mia possa essere considerata una “carriera di scrittore”. Nella mia precedente vita (quella del giuslavorista), ho sempre scritto per i miei assistiti ed è stato naturale, quindi, che da giovane pensionato continuassi a farlo. Ciò che è cambiato sono i destinatari e, soprattutto, le storie di cui scrivo. Ne avevo e continuo ad averne un milione nella testa e non c’era motivo che non le fissassi sulla carta.
Hai delle abitudini particolari durante la scrittura?
Normalmente scrivo i miei libri di giorno, standomene tranquillamente seduto sul divano. Mai di notte. Utilizzo il programma Pages dell’iPad e amo il silenzio. Faccio mille pause, alcune delle quali anche di pochi secondi. Mi servono per riflettere. Rileggo ciò che scrivo decine di volte, anche nella stessa giornata, apportando correzioni, aggiungendo ciò che ritengo che manchi ed eliminando ciò che penso disturbi. Sono solito partire dai dialoghi, per poi inserire l’ambientazione e i movimenti di scena. È per questo che dico sempre di essere io il primo Editor di me stesso. Poi, ovviamente, a lavoro completato, per l’editing mi affido a degli Editor professionisti.
Che messaggio hai voluto lanciare con il libro “Humanitas” edito dalla Bertoni Editore?
I miei gialli sono solo un pretesto per parlare di temi di assoluta attualità. In “Per una vita rubata: Summum ius summa iniuria”, per esempio, ho affrontato il tema della maternità surrogata e, più in generale, del diritto negato; ne “La verità comoda” quello del pregiudizio e dell’omertà; ne “Gli occhi della basilica” quello della violenza domestica e del bullismo; in “Sono solo coincidenze”, il tema è stato quello della ingordigia umana.
Oggi più che mai, in un mondo nel quale c’è qualcuno che rivendica addirittura il diritto all’odio, quello dell’umanità è diventato un tema centrale. Humanitas è il nome di una nave di proprietà di una ONG che soccorre i naufraghi nel Mediterraneo e, avendo deciso che il tema dovesse essere l’umanità, è stato naturale che diventasse quello il titolo del libro. Però, che sia chiaro: in “Humanitas”, non offro ricette e non tratto l’argomento con finalità didascaliche. Non voglio insegnare niente a nessuno. Io mi limito a porre il tema. Ogni personaggio del libro mostra il suo punto di vista, poi sta al lettore trarre le sue conclusioni, empatizzando con questo o con quello dei protagonisti della storia.
Una curiosità: qual è il libro più bello che hai letto fino ad oggi?
Non ho dubbi in proposito: “Il processo” di Kafka. Benché lo abbia letto decine volte, ogni volta che lo rileggo è in grado di provocarmi sempre la stessa indignazione.
Come hai scoperto la tua passione per la scrittura? Come l’hai coltivata negli anni?
A questa domanda mi pare di aver già risposto. Quello che posso aggiungere è che non ho avuto bisogno di coltivarla. Ho sempre tante storie nella testa e non posso fare a meno di raccontarle. A parte i libri già pubblicati, ne ho già uno (dal titolo provvisorio “I figli so’ figli”), il cui editing è quasi terminato e che, quindi, è pronto per la pubblicazione, e un altro che è a buon punto.
A tuo avviso quali differenze ci sono nello scrivere romanzi rispetto a testi di ben altra natura?
Le storie possono essere raccontate in tanti modi e il poliziesco è solo uno di questi. Io preferisco questo genere letterario perché mi diverte lasciare qua e là quegli indizi che il lettore dovrà saper cogliere per cercare di sciogliere l’enigma.
Come è cambiata la tua vita scrivendo?
Non è la scrittura che ha cambiato la mia vita. Direi che è esattamente il contrario e cioè che è stata la vita (intesa come esperienza) a cambiare il mio modo di scrivere. Al massimo, la scrittura ha cambiato (ma neanche troppo) le mie abitudini di vita.
Dove hai trovato l’ispirazione per ideare queste preziose 272 pagine?
L’ispirazione per ognuna delle mie storie la trovo leggendo. Chi scrive non deve inventarsi niente: è già stato scritto tutto. Deve solo assemblare e rendere intrigante il racconto.
In Humanitas ho voluto lanciare una sfida al lettore, il quale non dovrà limitarsi a scoprire chi sia l’assassino e quale il movente, ma dovrà anche cercare di capire come le storie dei vari personaggi s’intreccino fra loro, fino a diventare tasselli di un’unica storia.
Che sensazione si prova dopo aver scritto un bel libro, (come nel tuo caso)?
A parte la bellezza del libro (su cui non tocca a me pronunciarmi), ciò che mi dà più soddisfazione quando arrivo alla fine di un romanzo è l’essere riuscito a trovare gli incastri giusti, senza necessità di ricorrere agli effetti speciali o a soluzioni improbabili.
Come trovi l’ispirazione adatta per continuare quotidianamente a scrivere senza mai perdere l’entusiasmo degli esordi?
Ogni volta che comincio a scrivere una nuova storia, benché non sappia dove mi porterà la penna, l’entusiasmo è sempre lo stesso.
Quando hai capito di essere portato per il mondo dell’arte, della cultura e della scrittura?
In realtà, non l’ho ancora capito. Mi piace dipingere, leggere e scrivere e lo faccio indipendentemente da quella consapevolezza. Poi, ovviamente, se e quando arrivano gli apprezzamenti, non può che fare piacere.
Se tu potessi fare un regalo all’umanità per cosa opteresti?
Anche su questo non ho dubbi: eliminerei i confini fra gli Stati, in modo che tutti ci si senta cittadini del mondo e nessuno si debba sentire straniero.
Quale sogno è tuttora nel tuo ‘famoso’ cassetto?
Ho quasi 70 anni e non ho più sogni, ma solo storie da raccontare. In un certo senso, mi ritengo fortunato. I sogni giovanili li ho quasi tutti realizzati e tanto mi basta.
In soli tre aggettivi come puoi descrivere il tuo progetto editoriale “Humanitas. La nuova indagine del commissario Anselmi” realizzato con Bertoni Editore?
Questa domanda, almeno per un autore, è la più difficile a cui rispondere. Il giudizio è sempre soggettivo e, quindi, non è detto che il mio sia condiviso. Fatta questa precisazione – e in punta di piedi – spero che i lettori trovino “Humanitas” intrigante, coerente e pieno di suspense.
Al rientro dalle vacanze, il commissario Anselmi riceve una lettera anonima, nella quale viene invitato a non affannarsi a cercare il professor Gross, un avvocato milanese, che avrebbe dovuto presiedere un convegno sull’immigrazione, organizzato dall’Università per Stranieri di Perugia. Incerto se cestinarla o meno, scopre che, qualche giorno prima, in questura, è stata protocollata la denunzia di scomparsa del professore, del quale non si hanno più notizie da quando si è recato a Catania per assumere la difesa del comandante della Humanitas – una nave di proprietà di una ONG operante nel Mediterraneo – arrestato con l’accusa di traffico di clandestini e per altri reati collegati. A mano a mano che le indagini andranno avanti, i sospetti di Anselmi cadranno sulla moglie e sul figliastro del professore, su un suo ex collega di studio, sul comandante della Humanitas, su un magrebino, e, come se le storie personali di questi personaggi non fossero già sufficienti a intorbidire le acque, dovrà seguire anche altre piste, ben potendo l’omicidio trovare una spiegazione in intrighi politici legati al fenomeno dell’immigrazione.