Il Covid e il lockdown hanno aggravato l’epidemiologia del diabete nel nostro Paese: nella sola regione Lazio, dal 2000 a oggi, sono stati registrati 1.260 casi in più, per i due terzi anziani. “Gli anni del Covid e il lockdown hanno aggravato l’incidenza della malattia – spiega Vincenzo Fiore direttore della struttura diabetologica della Asl Roma 5 e vice presidente Amd Lazio intervenuto a Roma a un Focus sui modelli organizzativi e sulle nuove opportunità di cura promosso da Motore Sanità e da Amd (Associazione medici diabetologi) con il contributo non condizionante di Menarini group – oggi gli ultra 85enni sono un quarto della popolazione dei diabetici di tipo 2 e ciò complica la gestione”. Eccesso ponderale, aumentato consumo di zuccheri, pizze, dolci preparati e consumati a casa durante le restrizioni del Covid, la sedentarietà forzata ma anche un eccesso di consumo di cortisonici nelle polmoniti potrebbe aver inciso sul picco degli ultimi anni.
“Bastano due ore al giorno davanti alla Tv, l’uso intensivo del cellulare sul divano di casa, la solitudine, l’eccesso di consumo di alcolici, addirittura l’ora legale, ovvero vivere nei pressi di un fast food – ha spiegato Fiore -per vedere aumentare in maniera significativa il rischio di sviluppare un diabete. E il 30 % di chi entra in un ospedale ha il diabete”.
Nel Lazio le piccole province nella cura dei diabetici fanno meglio delle zone metropolitane, la presa in carico del paziente è più efficiente, le province di Viterbo e Latina fanno meglio di quella di Roma e tra gli ultra 65enni si registra una mortalità più elevata per patologie correlate al diabete che nel Lazio è cresciuta di 4 punti percentuali durante il periodo Covid. In regione sono 400 mila le persone che attualmente dichiarano di essere diabetici ma non tutti sono presi in carico da un centro specialistico.
“Oggi, in grandi regioni come il Lazio – ha sottolineato Lina Delle Monache referente di Diabete Italia – i nodi da sciogliere riguardano le liste di attesa per visite e controlli, la carenza di personale, il sovraccarico burocratico, la garanzia di accesso alle strutture diabetologiche, l’accesso all’innovazione, la frammentazione dell’offerta e la dismomogenea applicazione dei Pdta”. “Sul fronte dell’innovazione invece c’è da tenere conto delle necessità di formazione a tutti i livelli – ha aggiunto Maria Gisella Cavallo, docente associato alla Sapienza di Roma – contano anche l’accesso ai farmaci e ai device di nuova generazione e il potenziamento della assistenza territoriale e domiciliare”. Fari puntati sulla centralità del case manager, sul ruolo delle associazioni, della difficoltà di reclutamento dei medici, sulla necessità di investire su altre figure, pazienti e tecnici.
“Sulle liste di attesa – ha spiegato Alessia Savo, presidente della commissione Sanità e Politiche sociali – siamo impegnati a stabilire un piano di azione anche se il numero degli specialisti incide. Tutti i nodi illustrati in questo tavolo, in parte già conosciuti, saranno all’attenzione dell’Aula regionale”.
“Oggi abbiamo molte nuove formulazioni di farmaci, sensori, microinfusori, SGLT2 – avverte Raffaella Buzzetti responsabile della diabetologia Aou Policlinico Umberto I – tanto si è fatto sui percorsi diagnostico assistenziali e sui piani integrati oggi ben strutturati ma non da tutti attuati e con risultati dunque parziali”.
A ripercorrere le tappe dell’impianto legislativo per la cure del diabete in Italia è intervenuta Paola Pisanti, consulente esperto del ministero della Salute: dalla legge 115 all’atto d’intesa del 1991 che hanno fatto dei centri di diabetologia e l’assistenza sociosanitaria gli elementi cruciali per la convivenza con il diabete”.
Prevenzione, sport e stili di vita sono trascurati a tutti i livelli: la bussola è l’appropriatezza e l’integrazione tra i velli di cura. Ecco la centralità del distretto su cui ha puntato i fari Rosario Mele, presidente Card della Regione Lazio in un’ottica di sostenibilità del Ssn non solo dal punto di vista economico ma anche ambientale e sociale. Dario Pitocco associato di Endocrinologia alla Cattolica di Roma ha ricordato il gradiente epidemiologico tra nord, centro e sud e tra periferia e centro che sfavorisce questi ultimi. “L’Intervento precoce è quello che impatta di più sulle complicanze. Più ci allontaniamo dalla fisiologia più aumentano le complicanze e i costi legati a queste”.
Un dato epidemiologico è significativo: le Asl periferiche, delle province di Latina Viterbo e Frosinone e la Asl Rm 5 fanno meno ospedalizzazioni e hanno parametri di esito delle cure migliori di quelle delle zone metropolitane e della capitale. Emoglobila glicata e il colesterolo sono risultati i parametri più controllati, la microalbuminuria e il fondo oculare quelli meno monitorati.
La centralità del diabetologo non è in discussione ma Alice Tumbarello, dell’unità accoglienza e promozione della Salute del Distretto 1 Asl Roma 1 ha sottolineato l’importanza delle altre figure di cura: “Persone esterne della società civile intermediati tra noi e i pazienti che in questo progetto vadano a individuare i pazienti multipatologici e che vivono da soli”. E dunque Farmacie, Mmg, parrocchie, centri anziani, associazioni di volontariato, Federdiabete da mwettere in rete superando la logica dei silos separati. Il diabete è un paradigma delle malattie croniche con diverse comorbilità, l’emblema della persona fragile e vulnerabile. Il Piano regionale Lazio della malattia diabetica attribuisce al diabetologo il compito di costruire la rete e tutto dovrà integrarsi con le nuove articolazioni della medicina del territorio previste dal Pnrr. “Sovrappeso e obesità infantile stanno diventando una piaga – ha spiegato Giuseppe Lanna, Medici di medicina generale – ma abbiamo risultati strabilianti nella presa in carico dalla nostra categoria. Nel giro di un anno i nostri pazienti hanno visto quasi dimezzato il valore della emoglobina glicata (parametro per valutare gli esiti delle cure) e anche colesterolo e funzionalità renale cono rientrati nei limiti. Il 20 per cento dei dializzati è diabetico e il mancato controllo glicemico incide per circa 7 o 8 anni sulla aspettativa di vita”.