In aumento le malattie del fegato, colpa di sedentarietà, eccessivo consumo di alcol e dieta ricca di zuccheri e grassi

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Peggiorano le abitudini degli italiani: obesità, sedentarietà, eccessivo consumo di alcol e dieta ricca di zuccheri e grassi sono responsabili dell’aumento delle malattie del fegato. L’appello dei medici: “Serve individuare tempestivamente i malati perché queste malattie possono evolvere verso un’epatopatia cronica o addirittura in cirrosi”.

La Rete Epatologica Veneta, modello italiano per rispondere ai bisogni di cura dei pazienti e per prevenire le malattie del fegato. Il suo obiettivo: migliorare la presa in carico dei pazienti, gestire in modo ottimale i percorsi di cura, migliorare la qualità di vita dei pazienti e ridurne la mortalità.

 

Il territorio è la sentinella dei cambiamenti sociali. I medici di medicina generale ammettono che sono peggiorate le abitudini degli italiani. “È aumentato il consumo di psicofarmaci e di bevande alcoliche (vino, birra, superalcolici anche consumati in unica occasione), dilaga la vita sedentaria e aumentano le persone obese e in sovrappeso, tutto questo a scapito del fegato che presenta il conto: cirrosi, che può portare a gravi complicanze come ascite, insufficienza renale, encefalopatia epatica, ipertensione portale, varici esofagee, peritonite batterica spontanea, fino ad arrivare all’epatocarcinoma”.  “I casi – come spiega Maurizio Cancian, Segretario SIMG (Società Italiana di Medicina Generale e delle Cure Primarie di Regione Veneto) – vanno individuati precocemente perché possono evolvere verso una epatopatia cronica o addirittura in cirrosi. C’è bisogno di una educazione al consumo consapevole di alcol e in generale di aumentare la consapevolezza delle persone rispetto alle malattie del fegato. È quanto i medici di famiglia cercano di promuovere nei loro frequenti contatti, con le difficoltà legate al progressivo incremento dei carichi di lavoro e degli adempimenti burocratici, in attesa di una riorganizzazione. Anche la formazione va ripresa, così come vanno facilitati i contatti tra medici di medicina generale e specialisti ad esempio introducendo la possibilità del teleconsulto”.

L’obesità in Italia interessa quasi la metà degli adulti e almeno un terzo dei bambini (la quota è pari all’11,5% (maschi 12,3%, femmine 10,8%) mentre nella popolazione adulta la quota di sovrappeso è del 36,1% (maschi 43,9%, femmine 28,8%), evidenziando un trend in costante crescita (dati Istat, 2021); è aumentato il consumo di psicofarmaci (i dati Ocse parlano di un aumento tra il 2000 e il 2019 del 14%) e di bevande alcoliche (oltre 8,6 milioni  di persone sono a rischio di dipendenza, circa 800.000 minorenni e 2,5 milioni di over 65 persone sono a rischio per patologie e problematiche correlate); inoltre si conduce una vita troppo sedentaria; tutto questo a scapito del fegato.

In Italia sono 180mila le persone colpite da cirrosi epatica, con un tasso di prevalenza dello 0,3% della popolazione totale. L’impatto di questa malattia cronica multifattoriale, molto spesso sottovalutata a tutti i livelli, è molto pesante: 170mila decessi in Europa ogni anno, 10-15mila solo in Italia. Il 64% dei decessi per cirrosi epatica sono alcol correlati. Dopo una fase asintomatica proprio per questo pericolosa e spesso sottovalutata, la cirrosi diventa scompensata quando i pazienti sviluppano gravi complicanze come ascite (21%), insufficienza renale, encefalopatia epatica (16%, di solito è reversibile se opportunamente trattata ed è generalmente scatenata da cause specifiche che potrebbero e dovrebbero essere evitate o prevenute), ipertensione portale, varici esofagee, peritonite batterica spontanea, fino ad arrivare all’epatocarcinoma (sesto tumore al mondo, per incidenza, rappresenta il 90% di casi di cancro al fegato; in Italia sono stati diagnosticati più di 10.000 nuovi casi nel 2020) e al trapianto.

C’è un altro aspetto legato alle malattie del fegato. I pazienti con malattie epatiche non vengono riferiti tempestivamente allo specialista con conseguenze importanti: disabilità, ripetute ospedalizzazioni e costi relativi molto più alti di quelli sostenuti per i malati con scompenso cardiaco, con BPCO riacutizzata e con strokePer rispondere ai bisogni di cura delle persone con malattie al fegato, la Regione Veneto ha istituito la Rete Epatologica Veneta con l’obiettivo di migliorare la presa in carico dei pazienti con malattie del fegato, per gestire in modo ottimale i percorsi di cura, per migliorare la qualità di vita dei pazienti e per ridurne la mortalità. Un modello italiano per rispondere ai bisogni di cura dei pazienti e per prevenire le malattie del fegato.

Questa rete si fonda su tre principi: efficace stratificazione della popolazione legata allo stato di salute, innovazione organizzativa e digitale e collegamento tra i principali attori dai centri ad alta specializzazione a quelli di 1° e 2° livello fino alla medicina territoriale attraverso una Rete clinica efficiente.  Come spiega il Professor Paolo Angeli, Direttore della Clinica Medica 5 dell’AOU di Padova e Coordinatore della Rete Epatologica Veneta “la Rete Epatologica Veneta nasce per rispondere a questi bisogni. Si tratta della prima Rete Epatologica in ambito nazionale ad essere deliberata da una regione ed è la prima creata sulle Linee Guida dell’AISF, (Associazione Italiana per lo Studio del Fegato)La rete si propone di garantire ai pazienti con malattia epatica della nostra regione equità, tempestività e continuità nel percorso di diagnosi e cura superando le difficoltà che attualmente esistono nella diagnostica precoce e nelle modalità operative di referral alle strutture specialistiche”.

L’attivazione della Rete Epatologica Veneta costituisce un passo sostanziale per garantire all’utente della sanità la migliore assistenza indipendentemente da dove abiti e da quali siano le sue capacità di muoversi all’interno della Regione – prosegue Fabio Farinati, Direttore Dipartimento di Scienze chirurgiche oncologiche e gastroenterologiche UNIPD -. La rete garantisce, infatti, lo scambio di informazioni e di capacità gestionali fondamentale per mettere a disposizione del paziente il miglior percorso diagnostico terapeutico senza che debba, salvo eccezioni, essere accentrato in strutture Hub. Questo è particolarmente rilevante per le patologie di cui noi ci occupiamo direttamente, quali i tumori del fegato, per i quali l’Azienda Ospedale Università di Padova è centro di riferimento, o il trapianto di fegato. Negli anni sono state messe in atto una serie di iniziative tese a creare collaborazioni tra i vari Centri che garantissero una valutazione concordata delle problematiche epatologiche complesse ma ora, con l’avvio della Rete, queste collaborazioni troveranno una strutturazione che garantisce ai pazienti e agli operatori di Hub, Spoke e sul territorio la certezza di partecipare ad un processo gestionale di alta qualità“.

In Veneto erano già presenti alcune reti assistenziali: quella gastroenterologica per le urgenze endoscopiche di primo livello dal 2010 o le piattaforme “Ottimo” e “Navigatore” per il trattamento delle epatiti virali attive rispettivamente dal 2013 e 2015, nonché il progetto “Referral” per segnalare i pazienti con malattia epatica avanzata al Centro Trapianti di Padova. “Seguendo le suddette caratteristiche, la Rete Epatologica Veneta prevede un insieme di strutture e di professionisti specializzati nella diagnosi, nella cura e nella gestione delle malattie del fegato, con l’obiettivo di fornire ai pazienti una cura completa e personalizzata attraverso l’utilizzo di approcci diagnostici avanzati e terapie innovative, oltre a supportare la prevenzione delle malattie epatiche attraverso la sensibilizzazione pubblica e la promozione di uno stile di vita sano” interviene il Professor Francesco Paolo Russo, UOC Gastroenterologia/UOSD Trapianto Multiviscerale, Azienda Ospedale-Università di Padova, che sul ruolo delle reti clinico-assistenziali aggiunge: “Sono essenziali per realizzare i programmi di equità di accesso ai percorsi diagnostici terapeutici (PDTA) e per contrastare le diseguaglianze assistenziali superando la frammentarietà dell’assistenza ed aumentando l’efficienza del sistema sanitario evitando sprechi di risorse e permettendo ai professionisti di sviluppare competenze distintive appropriate e coerenti con le funzioni svolte e compatibili con le potenzialità del contesto nel quale sono chiamati ad operare. Proprio in questa ottica, il Piano socio sanitario regionale 2019-2023, approvato con l.r. 28 dicembre 2018, n. 48, prevedeva l’istituzione di reti cliniche-assistenziali”.

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