Covid, tre anni dopo: quali traumi ha lasciato nella mente delle persone? Ne parliamo con la dottoressa Adelia Lucattini

Condividi su:

di Marialuisa Roscino 

A distanza di tre anni dalla Pandemia, il Covid-19, dal punto di vista psicoanalitico, quali sconvolgimenti ha generato nella popolazione? Quali sono gli aspetti psicologici importanti da non sottovalutare? Momenti drammatici sono  finiti grazie all’impegno straordinario di medici e personale sanitario, forze dell’ordine, esercito e volontari. Ci si è chiesto poco tuttavia, degli effetti psicologici che il Covid-19 ha avuto sul personale medico – sanitario che ha vissuto e lavorato in prima linea tutti i giorni per cercare di salvare migliaia e migliaia di persone colpite dal virus. Di tutto questo ed altro ancora ne abbiamo parlato con la dottoressa Adelia Lucattini, Psichiatra e Psicoanalista della Società Psicoanalitica Italiana (SPI) e dell’International Psychoanalytical Association (IPA), in occasione della Giornata nazionale in memoria delle vittime del Covid-19. 

Dottoressa Lucattini, il 18 marzo 2020 rimane nella memoria come uno dei momenti più drammatici della storia d’Italia. A distanza di tre anni, dal punto di vista psicoanalitico, quali sconvolgimenti ha generato nella popolazione?

“Dopo questi primi tre anni, già si misurano gli effetti a distanza del trauma da pandemia. I primi tempi abbiamo constatato reazioni ansioso-depressive e un gran numero di fobie, tra cui agorafobia e anche ipocondria, con picchi mai visti prima, in particolare modo, negli adolescenti. Adesso è un’emergenza la depressione persistente, ne è un indice l’aumento del consumo terapeutico di antidepressivi. L’angoscia di morte che ha permeato l’inconscio, se non riconosciuta, costringe a vivere in un infinito lockdown che imprigiona dall’interno. Un costante stato di terrore senza nome”.

L’idea di istituire la Giornata nazionale in memoria delle vittime del Covid19, oltre che per mantenere vivo il ricordo, può essere vista anche come una sorta di “iniziativa terapeutica”?

“Certamente, offre la possibilità di elaborare il lutto per la perdita dei propri cari, degli amici e della vita di prima. Potersi recare al cimitero, partecipare a funzioni religiose e a incontri commemorativi allevia il senso di colpa di aver lasciato da sole le persone amate, nella malattia e nell’estremo momento del bisogno. Il senso di colpa è una reazione inconscia con pesanti ricadute negative, idee di persecuzione,  aggressività e violenza verso gli altri”.

Momenti drammatici finiti grazie all’impegno straordinario di medici e personale sanitario, forze dell’ordine, esercito e volontari. Ci si è chiesto poco degli effetti psicologici che il Covid-19 ha avuto sul personale medico – sanitario che ha vissuto e lavorato in prima linea tutti i giorni per cercare di salvare migliaia e migliaia di persone colpite dal virus. Lei che è anche un medico, che cosa può dire a riguardo?

“Tutti gli operatori sanitari, al lavoro, hanno vissuto momenti drammatici legati al periodo in cui il Covid-19 era sempre più incalzante con impennate vertiginose, per l’iniziale mancanza di protezioni e sempre per la paura di contagiare i familiari e per la lontananza dai propri cari. La morte di tanti pazienti, la perdita di colleghi e amici, la paura costante di ammalarsi e morire, hanno lasciato senz’altro un segno. Ognuno ha reagito a suo modo, alcuni hanno cambiato mansioni o struttura, altri sono andati in pensione, altri ancora si sono licenziati. Tutti, senza troppi indugi, si sono fatti aiutare da colleghi psicoanalisti e psichiatri. Ognuno ha compreso di trovarsi in una situazione senza precedenti e che richiedeva un supporto psicologico”.

L’Italia ha pagato un prezzo molto alto e il cammino per superare del tutto le conseguenze negative, dal punto di vista sanitario, sociale ed economico, della crisi pandemica non è ancora finito. A suo giudizio, quando ne saremo completamente fuori?

“Per uscirne psicologicamente ci vorranno almeno dieci anni, a patto che si faccia qualcosa a sostegno della salute mentale della popolazione, ma soprattutto dei ragazzi e dei giovani. Non dobbiamo trascurare gli effetti psico-sociali su milioni di persone. Sono sotto gli occhi di tutti le difficoltà economiche, aggravate dalla guerra in Ucraina, scoppiata durante la pandemia: la perdita di posti di lavoro, l’impoverimento, la poca accessibilità  a prestiti e mutui. I bambini e gli adolescenti hanno visto la loro socialità prima azzerata e poi limitata con la DAD e le turnazioni orarie. La ripresa in presenza che non tenga conto dello shock che hanno subito, può creare ulteriori danni, che possono riversarsi proprio sull’abbandono scolastico e degli studi universitari”.

Che tipo di terapia devono seguire le persone che vogliono uscire mentalmente da questi tre anni negativi?

“Fare un’analisi che è una terapia specifica per fobie, traumi e depressione. Può essere efficace anche la psicoterapia analitica focale, centrata sul problema, con numero di sedute prestabilite. In alcuni casi, è consigliabile la psicoanalisi gruppale. Dopo uno o due colloqui, l’analista consiglierà il trattamento più adatto e in caso, ne ravvedesse la necessità, invierà da uno psichiatra per una terapia farmacologica, classica, con farmaci naturali (soprattutto per bambini e adolescenti) o integrata”.

Un’ultima domanda. Lei, insieme a un gruppo di colleghi, durante la pandemia ha partecipato a un interessante progetto che ha portato al libro “Psicoanalisti in lockdown”. A distanza di qualche mese, che bilancio possiamo fare di questa esperienza?

“È stata fondamentale per affrontare il lockdown e il periodo successivo. Parlare di noi, del nostro lavoro e di quanto stava accadendo nei diversi paesi del mondo in cui ci trovavamo, ci ha permesso di continuare a pensare, senza essere bloccati da emozioni negative. È stata un’esperienza così importante, che ancora oggi lavoriamo insieme regolarmente, studiamo e riflettiamo in gruppo. Ci ha avvicinato, abbiamo stretto legami profondi, costruttivi. Tutt’ora ci vediamo online una volta al mese e due volte l’anno, ci incontriamo di persona. Monica Horovitz ha creato un buon gruppo e noi, tutti psicoanalisti, continuiamo a partecipare, dando ognuno il proprio contributo”.

Condividi su:

Valuta questo articolo:
5/5

i più recenti

Articoli correlati