Stuart Ian Frost: Le sculture arboree e la Land Art

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Tronchi secchi che diventano opere smerlettate, trine lignee. Ce ne sono a decine nel mondo. Così Stuart Ian Frost, britannico trapiantato in Norvegia da oltre trent’anni, mette la propria creatività al servizio dell’arte di scolpire alberi morti, disegnandone e perforandone la superficie con figure geometriche, regalandogli forme singolari e nuove occasioni di vita. Proprio per la scelta di usare il legno, materia altamente deperibile, le sue opere en plain air sono destinate a non durare, nel rispetto di un ciclo naturale che le vede tornare presto a materia organica decomposta. Si tratta della Land Art, forma d’arte nata oltreoceano alla fine degli anni ’60 del novecento, e che resiste a ogni più effimera moda.
Abbiamo raggiunto Stuart Ian Frost per parlare della sua poetica.

Come nasce la scelta di trasformare tronchi senza vita in nuove creazioni?
“Il mio background come Land Artist deriva dal movimento Land Art britannico/europeo di artisti come Richard Long, David Nash, Andy Goldsworthy, Nils-Udo e Chris Drury. Il lavoro è caratterizzato da una consapevolezza per l’ecologia, la sostenibilità. La Land Art può stimolare i dialoghi e sviluppare le relazioni tra uomo e natura. Questo è il motivo per cui lavoro principalmente con alberi morti in piedi. Un esempio di ciò può essere trovato nell’installazione site-specific Embla, presso TICKON, Tranekær International Centre for Art and Nature, in Danimarca. Il punto di partenza di questo intervento artistico sono stati tre olmi monumentali trovati nello Slottsparken (il parco del castello) a Langeland. Questi alberi sfortunati e maestosi avevano ceduto alla malattia dell’olmo olandese. Il mio desiderio era quello di dargli nuova vita, incorporando i naturali movimenti circolari e ispirandomi alle strutture simili a tunnel lasciate nella superficie degli olmi dai coleotteri della corteccia che avevano purtroppo causato la scomparsa di questi alberi monumentali”.

Come si prepara alla realizzazione delle sue opere?
“Prima di intraprendere una nuova opera d’arte, preferisco, quando possibile, visitare il sito in questione, scattare fotografie e raccogliere quante più informazioni relative all’area circostante. Inizio quindi ad abbozzare idee e note relative al luogo prima di disegnare un modello più dettagliato della mia proposta. Questi disegni spesso culminano nella costruzione di un modellino in scala che viene trasferito in un modello digitale 3D”.

La scelta dei luoghi come avviene, e tra tutti i posti da lei visitati, ce ne è uno in cui ha sentito di esprimere al meglio la sua creatività?
“Le caratteristiche e le qualità identificabili dei luoghi – come la storia, la topografia, l’architettura, la cultura e le materie prime – sono qualcosa a cui presto attenzione quando scelgo un sito. E’ prima di tutto lo spirito del luogo che le mie opere ‘site-specific’ (ndr) cercano di invocare e promuovere, ovvero il “Genius Loci”. Se dovessi scegliere un paese al mondo in cui sento che la mia creatività ha potuto fiorire, sceglierei l’Italia. La ragione di ciò è la comprensione e la coesione di coloro con cui ho avuto la fortuna di lavorare, la loro volontà di permettermi di sperimentare e di facilitare i processi/progetti creativi”.
Lei sostiene che operare a una trasformazione delle materie naturali equivale ad ampliare le percezioni umane. E’ questo un modo di acuire la capacità di indagare e rispettare la natura?
“La Land Art può stimolare dialoghi e sviluppare il rapporto tra uomo e natura. Può anche occuparsi di una risposta umana a un paesaggio specifico. La Land Art è diventata più attenta agli ambienti ecologici di cui è diventata parte, con cui esiste più in armonia”.

Prossimi progetti e/o realizzazioni?
“Il mio più recente lavoro può essere visto al BPSW Blackfoot Pathways: Sculpture in the wild, intitolato “Dancing trees: a marker tree”. La scultura site-specific è formata da ventiquattro alberi morti in piedi, raccolti da una foresta vicina. La specie di pino lodgepole o “Pinus Contorta” dal latino “contortum”. Nella scultura “Dancing Trees”, i movimenti aggrovigliati e tortuosi sono stati utilizzati per riecheggiare ed enfatizzare questa caratteristica. I ventiquattro alberi morti usati per costruire quest’opera sono stati accuratamente segati in oltre quattromila dischi, ogni disco meticolosamente riassemblato in un’unica forma scultorea a incastro. In questo modo gli alberi morti assumono nuova vita che viene enfatizzata nel movimento sensuale incarnato nelle loro apparizioni avviluppate. Le forme dei tronchi, un tempo rigidi e dritti, che si uniscono per comporre la scultura sono state ricostruite per apparire come un organismo gigante. L’ispirazione che ha portato a questa forma deriva dagli alberi segnapista dei nativi americani, creati per segnare i percorsi attraverso la natura selvaggia. Essi non sono dissimili dalla scultura “Dancing Trees” che si distingue per la sua unicità”.

Non essendo relegata in spazi chiusi, la Land Art ha un impatto maggiore sulle persone?
“Le opere site-specific sono per molti versi parte integrante del loro ambiente. Sarebbe sbagliato affermare che hanno un maggiore impatto emotivo sulle persone solo perché si trovano al di fuori delle gallerie tradizionali. Tuttavia, mi piacerebbe pensare che le percezioni dei fruitori possano essere affinate, perché a prima vista ciò che si incontra non è quello che viene rivelato a un esame più approfondito”.

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